mercoledì 24 gennaio 2007

alcune riflessioni sulla memoria della Shoah

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La memoria della Shoah,[i] che perdura da ben 62 anni, è assoggettata, come altri fatti umani, anche alla legge della domanda e dell’offerta e pertanto, nelle sue alterne vicende nel tempo, è paragonabile a modelli di mercato, quelli cioè nei quali domanda e offerta di un prodotto si influenzano reciprocamente.

L’offerta attuale[ii] del “prodotto Memoria”, se così si può definirlo, è composta da: studi storici, romanzi, convegni, memorie autobiografiche, film, sceneggiati televisivi, documentari, articoli di giornale, monumenti, targhe, viaggi ad Auschwitz, celebrazioni, “il giorno della memoria” del 27 gennaio (proclamato dall’ONU e celebrato nella maggior parte dei Paesi europei)… Le espressioni negazioniste[iii], in modo solo apparentemente paradossale, fanno anch’esse parte dell’offerta, costituendone la componente parassita e truffaldina, perseguìta pertanto dalla legge penale di numerosi Paesi, ma non in tutta l’Europa e, in particolare, non in Italia, che giustamente non persegue i reati d’opinione. Il negazionismo è sempre stato presente a contrastare la memoria della Shoah, e in tal modo testimonia, suo malgrado, la grande forza e persistenza della domanda.

Si moltiplicano poi negli ultimi tempi almeno in Italia numerosi tentativi di occulto sabotaggio - le Giornate del Ricordo per esempio, come quella dedicata alle Foibe - con funzioni parassitarie, se non volutamente corrosive, nei confronti della Giornata della Memoria. Queste celebrazioni aggiuntive tendono a banalizzare il 27 gennaio al quale si viene ad affiancare una pletora di date che finisce per rendere tutto stucchevole e privo di significato.

Tuttavia, l’offerta della “Memoria della Shoah” e la corrispondente domanda non sono ridotte alla sola giornata di celebrazione del 27 gennaio, di recente istituzione, che corre anzi il rischio di divenire anch’essa meramente celebrativa e ripetitiva.

L’offerta, che, ovviamente, non è destinata al popolo ebraico, tuttavia lo coinvolge profondamente e direttamente, se non altro perché è e comprensibilmente chiamato a rispondere con efficacia e correttezza ai quesiti del pubblico non ebraico[iv].

Lo sterminio degli ebrei ha acquistato memoria permanente, come vedremo, per forza propria, anche perché è stato giustamente visto dalle moltitudini come l’atroce atto terminale di un seguito di persecuzioni e diffamazioni in Europa delle quali gli ebrei erano stati vittime nei secoli esclusivamente per la loro condizione esistenziale nella società della quale pur facevano strettamente parte. Prima della Shoah, gli ebrei divennero il simbolo del male assoluto: basti, in proposito, ricordare l’accusa di deicidio connessa alla teologia cristiana e l’intensificarsi dell’antisemitismo cattolico dopo la fine del potere temporale nel 1870. E proprio per questi diffusi e radicati pregiudizi il crimine poté essere perpetrato dal nazismo e dai suoi complici senza incontrare consistenti resistenze. Al delirio superstizioso di antichissime origini come il deicidio si coniugarono le dottrine razziste del XIX secolo che negavano l’identità umana delle razze inferiori o degenerate.

I motivi storici, psicologici, culturali che hanno condotto allo sterminio hiltleriano della prima metà del XX secolo, sono comunque estremamente complessi e la loro trattazione, per la quale rimando a quella che è una delle più vaste bibliografie della Storia, andrebbe ben oltre i compiti che mi prefiggo in queste brevi pagine che riguardano invece solo alcune mie riflessioni sulla Memoria della Shoah dopo il 1945.

Tuttavia mi sembra rilevante ricordare qui che la condizione ebraica precedente alla Shoah fu definita con l’espressione “alterità immanente”. Gli ebrei sarebbero dunque “l’altro”, estraneo e odiato, del quale è indispensabile, ma al contempo intollerabile, la presenza.[v] Purtroppo l’alterità immanente ebraica si dissolse in Europa solo dopo la perpetrazione dello sterminio, le cui dimensioni, una volta rivelate tutte d'un tratto, produssero prima lo stupore collettivo, poi una presa di coscienza vastissima, per cui può essere suggerito il termine assai approssimativo di “rimorso”[vi].

Le cause di questo rivolgimento, vasto ma non totale, non sono state ancora del tutto descritte: è possibile, per esempio, che uno dei fattori che hanno innescato al suo nascere la Memoria della Shoah sia stato il colpevole silenzio delle alte gerarchie ecclesiastiche cattoliche e delle altre confessioni cristiane nel corso dello sterminio e, in contrasto con ciò, l’impegno del basso clero nel salvare vite umane, compresa la mia… Un’altra delle cause può essere ricondotta all’immensa documentazione prodotta dai processi del dopoguerra.

Questa resipiscenza tuttavia non è comune a tutti i Paesi europei, e nell’Est è addirittura assente per l’effetto combinato del feroce antisemitismo popolare e dell’occultamento operato dai comunisti. Ma c’è dell’altro, come vedremo subito.

Un poeta amico del popolo ebraico, il grande Gioachino Belli, scrisse in merito all’uccisione di Cristo, cioè Dio - necessaria, secondo il Cristianesimo, per la salvezza dell’umanità - dei versi apparentemente buffi, ma illuminanti: “Subbito che lui venne pe morì/ quarchiduno l’aveva da ammazzà”. L’alterità immanente è dunque già presente nel mito cristiano del deicidio, necessario e al contempo demonizzante per il popolo accusato di averlo commesso.

Fino al 1792, la reclusione nei ghetti europei del popolo ebraico, pur esponendolo a ogni sorta di persecuzione, lo preservò dallo sterminio. Nel 1792, con l’emancipazione degli ebrei, la Rivoluzione francese ha involontariamente dato l’avvio a un processo distruttivo, liberando, senza soluzione di continuità, le potenzialità letali insite nell’alterità immanente. La Shoah, che è lo stadio finale di questo processo, è divenuta così una sorta di automutilazione dell’Europa, perché l’eliminazione fisica dell’altro ha lacerato in modo irreparabile la sua indispensabile presenza.

È dunque in questa realtà di automutilazione dell’Europa che va ricercata la duratura e angosciosa domanda di Memoria.[vii]

Questa catastrofe si va configurando oggi nelle vicende dello Stato di Israele che è stato fondato, non come conseguenza della Shoah, come molti pensano, ma in correlazione alla “alterità immanente” proprio per la speranza di abrogare questa condizione esistenziale nella nuova realtà storica che si andava delineando nell’Europa delle Nazioni. Il movimento Sionista infatti, fin dal 1897 aveva l’obiettivo primario, con la creazione di uno Stato, di far divenire il popolo ebraico uguale alle altre nuove Nazioni europee, permettendone la sopravvivenza già allora minacciata.

David Grossman ha definito la realizzazione dello Stato di Israele un miracolo. Il Sionismo è riuscito a creare una nazionalità israeliana, non solo ebraica, che si è realizzata sotto i nostri occhi in pochi decenni.

Ma, nonostante la nascita del cittadino israeliano, il Sionismo ha fallito fino a oggi, come l’emancipazione del 1792, l’assimilazione borghese dell’800 e quella socialista del 900, l’obiettivo di rendere equiparato il popolo ebraico nella percezione degli altri popoli. E avendo il Sionismo fallito proprio il suo obbiettivo principale - come risulta dalle interminabili guerre e l’odio delirante e apocalittico del mondo arabo e islamico - la Storia del MO si ricongiunge ormai, purtroppo, alla Storia della Memoria della Shoah. Al posto del razzismo europeo ora gli ebrei debbono affrontare l’integralismo religioso che si avvale di tutti gli strumenti del passato, compresi quelli del razzismo nazista.

Per questi motivi, mentre in passato sembrava perfino doveroso trattare, rispondendo alla domanda di Memoria, dei problemi del MO in modo nettamente separato da quelli dell’epoca dei totalitarismi, oggi invece, con i dovuti e ovvii distinguo[viii], questa separazione è divenuta impossibile. I reiterati proclami di sterminio di Israele, da ultimo quelli dei dirigenti iraniani e la connessa negazione dell’Olocausto, sono uno degli esempi, ma non il solo, di questa nuova tragedia che si va profilando.

Nei giorni nostri, dunque, la “alterità immanente”, un tempo fenomeno europeo, si è come spostata nel MO, dove continua, seppure in altre forme, a manifestare le sue funeste antinomie. Questo motivo profondo per il quale la domanda sulla Shoah va progressivamente congiungendosi alla domanda sul MO, rende necessaria una risposta conseguente, per ora non ancora disponibile se non in forma retorica, autoreferenziale e pertanto di scarso contenuto e di nessuna efficacia.

La persistenza della memoria, cioè quella che ho definito la domanda, è influenzata dal crimine stesso già attuato in Europa[ix], ma oggi anche per la sua possibile ripetizione, paventata, molti anni fa, da Primo Levi.

Tuttavia occorre dire che il persistere della memoria si può manifestare anche in altri ricordi collettivi.[x] Si pensi a: le epidemie di peste in Europa, la bomba atomica su Hiroshima, il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, il Terrore della Rivoluzione Francese… Questa sequenza incompleta si chiude per ora con l’abbattimento delle Due Torri a New York l’11 settembre 2001.

Tali eventi presentano alcuni elementi comuni, oltre a quello principale di essere stati ognuno la discriminante fra due periodi della Storia. Essi sono: l’innocenza delle vittime, il loro numero enorme, la repentinità del fenomeno nel suo apparire e scomparire, l’abbattimento indifferenziato di esseri umani per età, sesso, condizione sociale, l’oscurità delle cause, l’impossibilità da parte delle vittime, inconscie oltre che innocenti, di difendersi in alcun modo[xi], l’autoidentificazione con le vittime, l’impossibilità di attribuire un senso allo sterminio che abbia la funzione di renderlo sopportabile[xii].

La Shoah e la sua memoria, peraltro, consistono nella somma di tutti gli elementi elencati elevata alla massima potenza. Si tratta di un crimine seriale (meramente ideologico, cioè privo di qualsiasi utilità pratica, che potrebbe, anzi, essere definito addirittura ludico perché nella sua atrocità contrastava ogni possibilità di vittoria militare per la Germania proprio a causa del suo costo e della sua difficoltà di attuazione[xiii]) con milioni di vittime.

Così la domanda non ha, o non ha ormai più, connotazioni politiche, e nemmeno emozionali. Essa oggi nasce invece soprattutto dalla indecifrabilità enigmatica del crimine, che permane nonostante l’immensa quantità di studi in proposito.

La risposta, purtroppo, pervicacemente politica e emozionale, non corrisponde alla richiesta, che si riferisce quasi esclusivamente - almeno oggi e probabilmente sempre più nel futuro - alle caratteristiche intrinseche dello sterminio. Per esempio, si insiste maggiormente sulle vittime e si trascurano gli esecutori, mentre nella diade vittima-assassino, è assai più importante l’assassino della vittima.[xiv]

Il pubblico, in sostanza, chiede inconsapevolmente la prosecuzione di un processo nei confronti di criminali dei quali peraltro, in qualche misura, si sente anche complice, in modo drammaticamente contraddittorio perché, invece, per altra parte di sé, si identifica totalmente con le vittime. E infatti la Shoah è stata vista anche come il suicidio dell’Europa. Il suicidio è l’atto nel quale vittima e assassino coesistono in una sola persona.[xv]

Il negazionismo, visto però solo dalla parte della domanda, ha paradossalmente origini in sé e per sé quasi innocenti: l’incredibilità del misfatto rende assai più agevole e rassicurante la negazione della sua esistenza piuttosto che l’indagine e l’eterno processo che ne deriva[xvi]. Inserire la Shoah nella storia della prima metà del secolo XX - per capire come si è potuto arrivare a tanto orrore attraverso il nazismo e le innumerevoli connivenze che esso ha avuto in Europa - è l’unico modo per comprenderla, ma costituisce un’operazione dolorosa e difficile e perciò è logico che tanti tentino di evitarla.

Resta quindi da dire che, per quanto enorme e costante, la domanda viene formulata da una minoranza circondata dagli indifferenti. E proprio il mondo degli indifferenti è uno degli sbocchi dell’offerta dei negazionisti che propongono una soluzione semplice, rapida e in apparenza meno angosciosa, oltre che completamente idiota: la Shoah, che non è mai esistita, sarebbe il frutto della tradizionale lamentosità degli ebrei, quando non delle loro invenzioni allo scopo di ingannare il mondo e perpetrare le loro abituali sopraffazioni, quelle sì concrete. (Vedi nota V)

La negazione della Shoah costituisce pertanto il metodo più raffinato per accettarla, già implicito nelle modalità dello sterminio e nel segreto col quale fu perpetrata, che anticipavano appunto il futuro negazionismo: perché gli ebrei assassinati non dovevano scivolare nell’oblio come gli altri popoli fatti sparire nella Storia antica e recente?

“In apparenza meno angosciosa”, ho detto prima, ma in realtà ancora più persistente e antica e duratura della memoria della Shoah. Il negazionismo è imparentato infatti con il “complotto giudaico per il dominio del mondo”, proprio cioè con il mito che fu una delle scaturigini dello sterminio: la memoria della Shoah diventa una delle tante imposizioni dell’eterno ebraismo, come il cristianesimo (“…Roma/piú non trionfa./Piú non trionfa, poi che un galileo/di rosse chiome il Campidoglio ascese,/gittolle in braccio una sua croce, e disse/- Portala, e servi.[xvii]), come il bolscevismo “giudaico”, o il Dio denaro (l’usura di Ezra Pound… un altro poeta, e vi ho risparmiato Louis Ferdinand Céline e Dante Alighieri), o, oggi, il Sionismo...

Il cerchio qui si chiude e la risposta alla memoria della Shoah si trasforma in lotta contro l’antisemitismo. Questa lotta continuerà a essere efficace purché, come ho dimostrato, l’offerta sia coerente con la domanda in questo triste mercato di memorie, oblii, idee e superstizioni.

Per parte loro, gli ebrei restano quel che sono: un oggetto che va da Woody Allen ai rabbini che hanno partecipato al Convegno nazista di Teheran del dicembre 2006 sulla… inesistenza della Shoah.

Roma, 27 gennaio 20


[i] Shoah, in ebraico, vuol dire, come si sa, “Disgrazia” o forse anche “Catastrofe”. Per me costituisce un preciso dovere ricordare sempre lo sterminio dei Rom, chiamato Porajmos, cioè “Divoramento”, che, avvenuto per mano nazista negli stessi anni e con modalità e obbiettivi simili, è caduto nell’oblio, come lo sterminio di altre innumerevoli vittime.

[ii] L’offerta si è adattata nel tempo alla domanda sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo. Perciò in passato assunse caratteristiche molto diverse delle quali non tratterò. Nei primi anni del XXI secolo, l’offerta risulta ancora vasta e differenziata, ma concentrata quasi esclusivamente nei paesi dell’Ovest dell’Europa e negli Stati Uniti. Invece si è venuto a costituire nel mondo islamico, e in particolare nel Medio Oriente, un modo nuovo e degenerato di vedere la memoria della Shoah. Sia l’offerta che la domanda vengono considerate una sorta di “rito ossessivo dell’Occidente”.

[iii] Di coloro cioè che confutano o minimizzano lo sterminio hitleriano, negando evidenze, adducendo dati falsi o distorcendo la realtà dimostrata.

[iv] Ciò avviene molto spesso anche nei rapporti privati e altresì per le vicende dello Stato di Israele. Il pubblico ebraico è allarmato dalle dimensioni acquisite dalla domanda di memoria, per il timore che si producano pericolosi fenomeni di rigetto. Questa preoccupazione è nel complesso affine a quella esistente all’epoca dell’assimilazione, cioè prima della Shoah, quando molti ebrei occidentali erano restii a esternare la loro condizione e vedevano con ansia la crescente diffusione della cultura e dei problemi ebraici tipici a quei tempi dell’Europa dell’Est.

Non va infine trascurato il problema delle risposte differenziate, talvolta sbagliate e contraddittorie, che gli ebrei inevitabilmente e comprensibilmente danno in relazione alla loro preparazione culturale e politica. Si è, in effetti, verificata, e potrà verificarsi in futuro, un’utilizzazione della Memoria da parte israeliana ed ebraica per scopi politici contingenti. E su questo sono stati scritti volumi come “L’industria dell’Olocausto” di Norman Finkelstein. L’utilizzo strumentale della Memoria, indubbiamente sgradevole, non è mai stato sistematico da parte ebraica, come invece erroneamente afferma Norman Finkelstein. È un atteggiamento perfino naturale, sia pur con tutte le critiche che ovviamente gli spettano.

D’altra parte non è affatto vero che solo gli ebrei abbiano utilizzato la Memoria della Shoah per scopi politici contingenti. Per esempio, attorno al 1955, furono proprio i Partiti Comunisti in Europa a programmare una campagna organizzata sull’Olocausto che aveva lo scopo di contrastare il riarmo della Repubblica Federale Tedesca.

[v] Simone de Beauvoir, “Il secondo sesso”, “Il Saggiatore”, Milano 1961. Ho limitato alla nota la similitudine della condizione ebraica a quella femminile per evitare equivoci come per esempio quello di assimilare gli ebrei, e non la loro condizione, tout court alle donne. Questa degenerazione della realtà, disvelata dalla Simone de Beauvoir nel 1951 costituisce una delle caratteristiche dell’antisemitismo ottocentesco: agli ebrei venivano imputati irrequietezza, debolezza, isteria, mancanza di buona fede.

Nel Medioevo l’identificazione giunse al punto di creare la leggenda che i maschi ebrei erano assoggettati, come le donne, alle mestruazioni… L’emancipazione degli ebrei e la liberazione femminile hanno seguito, nel XIX e nel XX secolo, le stesse gloriose tappe: alle donne italiane fu concesso il diritto di voto nel 1946.

[vi] C’è da augurarsi che la presenza degli immigrati in Europa, odiati e allo stesso tempo necessari, non venga a configurarsi come alterità immanente.

[vii] che non è da riferire, ovviamente, a una presunta superiorità delle vittime ebraiche rispetto a quelle di altri genocidi altrettanto efferati, ma alla condizione peculiare del binomio Europa-ebraismo.

[viii] Mi rendo, ovviamente, ben conto della obiezione più facile: essere cioè lo Stato di Israele una entità statuale, che invece non esisteva nella prima metà del XX secolo. Faccio presente, tuttavia, che, se non ci si sofferma sui considerevoli errori, anche strategici, compiuti dallo Stato di Israele nei suoi 60 anni di vita, è solo perché , dal 1947 a oggi, non sono in discussione le sue decisioni, ma il suo stesso fatto di esistere, con una ostilità che sembra crescere proprio di fronte alle politiche di compromesso. Esiste poi anche un’alleanza di fatto, asimmetrica, fra la vasta platea di estremismi islamici e l’estremismo israeliano, anzi ebraico, che è fuorviante trattare in questa sede.

[ix] Anche, ovviamente, dal succedersi delle generazioni, dagli episodi di antisemitismo documentati dalla cronaca, dalle vicende di Israele, dall’apparizione di opere d’arte… In passato ormai lontano fu indotta per esempio dai clamorosi processi ai responsabili, che qui non esamino.

[x] I negazionisti, allo scopo di rafforzare la loro teoria della “memoria imposta” dagli ebrei, fingono di ignorare tutti gli altri eventi di memoria collettiva persistente nel tempo.

[xi] Ricordo i calchi di gesso dei morti asfissiati di Pompei e i cumuli di morti per gas delle fotografie dei campi dello sterminio hitleriano.

[xii] I cristiani furono divorati dalle belve nelle arene, ma poi il Cristianesimo trionfò! Antigone fu uccisa, ma il suo ricordo si trasformò in precetto morale universale.

[xiii] Lo sterminio degli ebrei fu proseguito fino agli ultimi minuti di guerra, nell’incombenza della sconfitta totale

[xiv] Eccezioni, fra le tante, di questo genere di risposta sbagliato, sono, per esempio, le opere di Gitta Sereny su Speer e Stangl, e, in parte, quella di Hanna Arendt su Eichmann: l’identità, la personalità, le motivazioni, l’indifferenza del carnefice e dei suoi complici.

A più di un secolo di distanza, quotidianamente, appaiono nel mondo articoli su Jack lo Squartatore, non già per la pietà per le povere prostitute sue vittime, ma per il mistero di chi era e del perché assassinava.

È apparso, infine, assai di recente: “Caino a Roma, i complici romani della Shoah” , di Amedeo Osti Guerrazzi, ed. Cooper, 2005. L’ottimo libro del giovane storico si situa esattamente sulla linea che ho indicato: gironi di colpevoli, dalle bande come quella di Palazzo Braschi ai delatori e saccheggiatori privati, fino a quello degli indifferenti.

[xv]Ciò ha dato luogo a un fenomeno forse ancor più impressionante del negazionismo, che è quello della supposta complicità degli ebrei con i loro carnefici, vista, fra l’altro, attraverso la loro presunta remissività. Gli aspetti più aberranti di questa degenerazione portarono a miti come quello delle… origini ebraiche di Hitler. Si tratta in definitiva di una sorta di traslazione del suicidio dell’Europa, che viene ridotto al suicidio degli ebrei.

[xvi] I negazionisti professionali, che ovviamente non sono affatto innocenti, si rivolgono al loro vasto pubblico con mistificazioni simili a quelle di altri “professionisti” che sostengono oggi, in varie forme, che l’attacco alle Due Torri è stato attuato dagli americani e che gli ebrei erano stati invitati a non andare in ufficio quel mattino… Il pubblico arabo e, più in generale, quello musulmano, abbocca oggi a entrambe le esche. Lo sfruttamento del negazionismo a fini politici si è rivolto in passato ad altri “mercati” che in parte sussistono tuttora, come, ma non solo, quello dell’estrema destra europea.

Esistono altre forme perniciose di semplificazione, come, per esempio, quella, di origine ebraica, del destino degli ebrei di essere sempre perseguitati, o quella, di origine marxista, che intende lo sterminio come richiamo per allodole ai fini di distrarre il proletariato dalla lotta di classe… Infine, vanno segnalate alcune componenti religiose latenti nell’ebraismo e manifeste nel cristianesimo, tendenti a idealizzare le vittime come martiri, per ottenere quella comprensibilità, che oggi manca, mediante la fagocitazione nella religione dell’intera Shoah.

[xvii] “Alle fonti del Clitumno” di Giosuè Carducci.